Sto prendendo qualche schiaffone, in questo periodo, a livello personale, proveniente da varie direzioni. Benché io sia molto incline all'autoanalisi, e dunque sempre pronto a riflettere su me stesso e sulle cose che faccio, sottoponendole a continua disamina, mi chiedo se per caso non si stia un po' esagerando.
A me capita spesso di confrontarmi con persone cui tirerei volentieri qualche schiaffone (metaforico, ovviamente), ma mi astengo per rispetto nei riguardi delle medesime. Dissento e, se del caso, prendo il largo.
Non riesco invece a capire il senso di questa pervicacia nei miei confronti. Non riesco a comprendere, in particolare, perché mi si debba martirizzare con il fatto che "non vado bene".
Capisco e prendo atto. Ma perché proprio io, se non vado bene, dovrei cambiare? In genere, a tutti si dice "non va bene questo, non va bene quell'altro". E la cosa finisce lì. A me pare che solo a me si dica che devo cambiare. Trovo la cosa alquanto singolare.
Se poi formulo l'obiezione di cui sopra ai diretti interessati, questi mi guardano come se fossi pazzo. Ma in verità io ho solo chiesto il perché di tanta insistenza. Sono io l'unico al mondo a dover cambiare? E se fossi particolarmente attento alla tutela della mia identità? E se, almeno io, mi volessi bene e intendessi preservarla?
Siccome gli ultimi attacchi mi sono venuti da persona che dovrebbe conoscermi bene e avere anche tutti gli strumenti (compresi quelli professionali) per comprendermi, a questo punto abbandono ogni tentativo di spiegazione e lascio perdere.
Dedicherò alcuni dei prossimi post all'illustrazione dei miei atti criminali, delle mie infinite crudeltà e di come sono bastardo. Sarebbe assurdo che continuassi a non voler dare al mio pubblico quello che esso mi chiede. Se mi vede così, che senso ha che continui a spiegare che non sono così? Indosserò queste nuove vesti, che a tutti i costi mi vogliono far indossare, o forse - meglio - tacerò. Che altro mi resta da dire (e da fare)?
Piero Visani
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