Non avevo ancora avuto occasione di vedere Cosmopolis, di David Cronenberg, e ieri sera ho potuto colmare questa lacuna. Tratto dal romanzo di Don DeLillo, il film mi è piaciuto molto.
Opera difficile, complessa, claustrofobica e verbosa, è suscettibile di varie chiavi di lettura. I riferimenti alla crisi finale del capitalismo, quella stessa crisi che ci sta distruggendo, sono fin troppo chiari e scoperti per non poter essere individuati e rappresentano ovviamente il filo conduttore del film.
A mio giudizio, tuttavia, c'è anche molto di più; c'è una forma di tanatofobia (l'ossessione del protagonista per le sue condizioni cliniche, sottoposte a tale proposito a verifica quotidiana) che si trasforma progressivamente in tanatofilia, assumendo le medesime caratteristiche ossessive e sviluppando una singolarità negativa che sento particolarmente mia. La frase "Anche quando ti autodistruggi, tu vuoi fallire di più, perdere di più, morire più degli altri, puzzare più degli altri", avrei voluto scriverla io, mille volte io. C'è, in essa, un senso di morte che devasta tutto e che tuttavia è intriso di un formidabile élan nichilista che fa di quella morte vita, che la riempie di contenuti estetici, che la rende addirittura un estetismo. Che la trasforma in un'opzione per una vita nuova e diversa, che ci invita a distruggere tutto, a fare tabula rasa di tutto, per avere una chance per poter infine rinascere. Dunque la morte non come fine, ma come finalità creativa...
Emerge chiaramente, dall'opera cronenberghiana, la condanna totale del cybercapitalismo e delle sue logiche, e dunque l'opera stessa è anche un apologo della tragedia epocale in cui siamo immersi. Di quest'ultimo, la filologica fedeltà della sceneggiatura al testo del libro di DeLillo fornisce un approccio che taluni critici hanno ritenuto eccessivamente verboso, ma che a me pare fondamentale per valorizzare la potenza della parola, a fini esplicativi. Attraverso la parola - se se ne sanno discernere i significati - si può ancora pervenire a comprendere le cose, anche se oggi questo fondamentale potenzialità è spesso negata (non a caso...). Per non parlare del fatto che, non meno delle immagini, la parola è enormemente evocatrice e, seppur priva di analogo potenziale empatico, consente tuttavia di raggiungere ben superiori livelli di comprensione. Che sono proprio quelli che più ci mancano, attualmente...
Piero Visani
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