martedì 30 luglio 2013

Nel sole

       Il sole picchia, lungo il Po. Dopo il nubifragio di ieri, che ha spazzato via - oltre a molte altre cose, ahinoi! - l'umidità da calura che gravava su Torino, l'intensità dei raggi solari è formidabile.
       Corro un po', da solo, nel silenzio.
       Il percorso lungo le rive del fiume è deserto. C'è un tempo infinito per pensare, e infiniti sarebbero pure gli argomenti.
       Procedo lentamente, senza scatti. Punto a rafforzare le mie doti di fondo, per utilizzarle quando gioco a tennis.
        Questo percorso così dritto è una sorta di metafora esistenziale. Ogni tanto incontro una persona, a piedi o in bicicletta. Perfetti estranei, ma la solitudine è tale per cui ci scappa un cenno del capo, un abbozzo di saluto.
        Ho voglia di solitudine, una straordinaria voglia di solitudine. Vengo da esperienze di vita abominevoli e, anche se per lavoro devo incontrare molta gente, anche se il mio quadro di affetti familiari è solido e rappresenta un punto fermo, non mi sento bene. Il mio animo è squassato da un dolore intenso, frutto di esperienze molto negative, dalle quali mi sto allontanando, giorno dopo giorno, ma con le quali non mi sento a posto.
        Soffro per ciò che ho dovuto subire. Soffro per non aver potuto reagire come avrei voluto. Soffro perché mi sento insoddisfatto. Riesco a chiudere le situazioni, quali che siano, quando sento i conti in pari, e questi non li sento.
         Una domanda mi assilla: chi mi restituirà tutta la vita che ho buttato, tutto l'impegno che ho profuso, tutta l'energia che ho disperso, tutto l'amore che ho dato? Nessuno, lo so bene.
       Mi chiedo che cosa avrebbero fatto altri al posto mio e mi chiedo perché proprio a me è toccato quel destino infame. Io amo le esperienze totali e totalizzanti, e mi è toccata una via di mezzo tra una "morte a credito", un coacervo di rinunce e divieti, e un'esistenza residuale. Non riesco a capacitarmi di aver commesso un errore così enorme. Anzi, per dirla tutta, non sono nemmeno convinto di aver commesso un errore. Diciamo che, a un certo punto, ho alzato il livello del gioco. E' chiaro che non sono stato seguito. Ma non sono per nulla convinto di essere stato l'unico ad avere perso... Non sarei qui a correre, a curare la forma fisica, a mettere il mio intelletto continuamente alla prova, se non fossi convinto che essere uscito da una competizione, invero molto particolare, molto "diversa" (spero di non offendere alcuno usando l'aggettivo "diversa"...), mi abbia fatto perdere il gusto per la sfida e la voglia di buttarmi a capofitto in nuove competizioni, uguali o "diverse" che possano essere... Mi chiamo Piero, dopo tutto, e sono una "peste"...
 
                                                 Piero Visani

2 commenti:

  1. E' purtroppo vero, quando alla nostra età ci rendiamo conto che tutti i nostri onesti sforzi e le enormi sofferenze patite si sono soltanto scontrate con l'ottusità di un mondo impietosamente in decadenza dove l'intrallazzo e gli interessi personali prevalgono sul rispetto e la valorizzazione dell'altro,ti viene da mandare tutto e tutti al diavolo. Ma poi c'è comunque una sorta di molla, di valvola di sicurezza che si mette in funzione e che ti fa andare avanti lungo quel fiume sempre uguale a se stesso, anche se non sappiamo dove quell'avanti ci porterà. Come soldati in trincea continuiamo a combattere e a tenere duro se non altro per rispetto a ciò che siamo e per coerenza con quanto patito fin'ora. E' questo in fondo il segreto per vivere al meglio la propria esistenza: fare del proprio meglio e andare avanti nonostante i calci, gli insulti, le delusioni, le amarezze, le sconfitte che con il senno di poi diventano folgoranti vittorie perché ottenute contro un mondo e una società totalmente perdenti

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