Ci fu un momento in cui, in una mia vita precedente, il mio tentativo di modificare una situazione statica per cercare di farla diventare dinamica mi attirò addosso l'accusa di "perturbatore". Sul piano pratico, l'essere bollato con quell'aggettivo mi fece chiaramente comprendere che era stato imboccato un piano inclinato e che, senza mutamenti radicali, presto sarei dovuto uscire di scena, come in effetti puntualmente avvenne.
Sul piano teorico, tuttavia, ricordo che quell'aggettivo mi piacque particolarmente, perché, se sul piano di quella relazione segnava la mia fine, al tempo stesso forniva un'eloquente descrizione della mia natura.
Si, in effetti sono un perturbatore e, dovunque io vada, amo "provocare crisi", vale a dire creare situazioni che non si ripetano immutabilmente uguali a loro stesse, ma - se possibile - si modifichino.
Nel caso di specie, per assoluta indisponibilità della controparte non sono riuscito a modificare in positivo la relazione, ma almento l'ho fatta uscire dal limbo. Eravamo due persone in avvicinamento, ma quale tipo di avvicinamento, e perché? Un avvicinamento "a sovranità limitata", un patto di cui una sola parte stabiliva le regole? Tutto stava diventando ridicolo e penoso.
La mia capacità di "perturbare" ha avuto il merito di far uscire una situazione dalla situazione di stallo in cui era precipitata. Non avrei potuto continuare a vivere una vita in cui mi si diceva ogni giorno che cosa avrei dovuto fare, e perché. Perturbando, ho creato le premesse per distruggere tutto e fare chiarezza.
Come tutti gli equivoci, si è sfasciato rapidamente. Mi si era detto che, con una soluzione anodina, saremmo passati oltre i tradizionali limiti del rapporto maschile/femminile. Ma non è stato assolutamente così. Non essendo mai andati oltre, ci siamo fermati prima. Il risultato non è stato un rapporto più maturo e responsabile. E' stato l'addensarsi di un carico di ostilità reciproca che non è mai più sfumato, anzi è esploso.
Lo ammetto: sono un perturbatore. Amo perturbare. Voglio creare nuove situazioni. E ci sono riuscito. Non sarei mai e poi mai rimasto nell'equivoco. Ci ero rimasto anche troppo. Ora sono un "dannato della terra" - è vero - ma per me è mille volte meglio così che essere una di quelle pallide figure di "amico", persona dall'identità incerta, cui è richiesto soprattutto un ruolo di confidente e consolatore (consolatore non sessuale, ça va sans dire).
Sono ormai talmente tranquillo e in pace con me stesso da poter dire che è stato meglio così, onde evitare il protrarsi di equivoci che ci avrebbero solo inutilmente complicato l'esistenza. Ci siamo persi malamente, è vero, ma eravamo un "niente" che fingeva di essere qualcosa. Situazione triste e scorante. Ora siamo un vero "niente", come eravamo già, peraltro, senza che alcuno avesse il coraggio di ammetterlo.
Mi spingo perfino a chiedere scusa per quello che ho fatto, da parte mia, ma ero stato spinto in una strada senza uscita. E io esco da tutto, sempre. E' "il trionfo della volontà". Volevo rischiare e perturbare. In cambio mi è stato offerto un ruolo residuale. Ringrazio, ma non è roba per me. Continuerò a perturbare... Altre donne, ovviamente...
Piero Visani
Sul piano teorico, tuttavia, ricordo che quell'aggettivo mi piacque particolarmente, perché, se sul piano di quella relazione segnava la mia fine, al tempo stesso forniva un'eloquente descrizione della mia natura.
Si, in effetti sono un perturbatore e, dovunque io vada, amo "provocare crisi", vale a dire creare situazioni che non si ripetano immutabilmente uguali a loro stesse, ma - se possibile - si modifichino.
Nel caso di specie, per assoluta indisponibilità della controparte non sono riuscito a modificare in positivo la relazione, ma almento l'ho fatta uscire dal limbo. Eravamo due persone in avvicinamento, ma quale tipo di avvicinamento, e perché? Un avvicinamento "a sovranità limitata", un patto di cui una sola parte stabiliva le regole? Tutto stava diventando ridicolo e penoso.
La mia capacità di "perturbare" ha avuto il merito di far uscire una situazione dalla situazione di stallo in cui era precipitata. Non avrei potuto continuare a vivere una vita in cui mi si diceva ogni giorno che cosa avrei dovuto fare, e perché. Perturbando, ho creato le premesse per distruggere tutto e fare chiarezza.
Come tutti gli equivoci, si è sfasciato rapidamente. Mi si era detto che, con una soluzione anodina, saremmo passati oltre i tradizionali limiti del rapporto maschile/femminile. Ma non è stato assolutamente così. Non essendo mai andati oltre, ci siamo fermati prima. Il risultato non è stato un rapporto più maturo e responsabile. E' stato l'addensarsi di un carico di ostilità reciproca che non è mai più sfumato, anzi è esploso.
Lo ammetto: sono un perturbatore. Amo perturbare. Voglio creare nuove situazioni. E ci sono riuscito. Non sarei mai e poi mai rimasto nell'equivoco. Ci ero rimasto anche troppo. Ora sono un "dannato della terra" - è vero - ma per me è mille volte meglio così che essere una di quelle pallide figure di "amico", persona dall'identità incerta, cui è richiesto soprattutto un ruolo di confidente e consolatore (consolatore non sessuale, ça va sans dire).
Sono ormai talmente tranquillo e in pace con me stesso da poter dire che è stato meglio così, onde evitare il protrarsi di equivoci che ci avrebbero solo inutilmente complicato l'esistenza. Ci siamo persi malamente, è vero, ma eravamo un "niente" che fingeva di essere qualcosa. Situazione triste e scorante. Ora siamo un vero "niente", come eravamo già, peraltro, senza che alcuno avesse il coraggio di ammetterlo.
Mi spingo perfino a chiedere scusa per quello che ho fatto, da parte mia, ma ero stato spinto in una strada senza uscita. E io esco da tutto, sempre. E' "il trionfo della volontà". Volevo rischiare e perturbare. In cambio mi è stato offerto un ruolo residuale. Ringrazio, ma non è roba per me. Continuerò a perturbare... Altre donne, ovviamente...
Piero Visani
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