sabato 4 maggio 2013

Come stai?

     Brevissimo incontro con un amico, in un ufficio di Milano, giorni fa. Ci conosciamo da un quindicennio, non abbiamo grande confidenza, ma lui è molto simpatico e aperto.
       "Come stai?" - mi chiede.
       "Bene, grazie".
       "Ti vedo in gran forma e più 'in tiro' del solito".
       "Credi sia possibile?" - obietto con un mezzo sorriso.
       "Sì, non finisci mai di stupirmi. Forse che hai fatto un patto con il diavolo?".
       "No, non credo proprio. Cerco di difendermi, prima che si avvii il lungo inverno della vecchiaia, 'l'inverno del nostro scontento' ".
       Sorride divertito. E' persona che sembra superficiale, ma non lo è affatto.
       "Che cosa ti tormenta?" - mi chiede, fissandomi nel profondo degli occhi.
       "Nulla" - rispondo.
       Ridacchia: "non sei davvero bravo a dir bugie...".
      "Forse sono molto più bravo a dire la verità" - rilancio.
       "E ti giova?"
       "No, non direi, non direi proprio".
       "Allora perché non smetti?".
       "Mio caro, ho smesso da tempo di dirla, ma qualche volta è assolutamente necessario".
       "Quando lo è, secondo te?". Mi chiede incuriosito.
       "Quando non hai più vie d'uscita. Quando non sai come fare e salvare il salvabile vorrebbe dire abdicare a te stesso, a come pensi di essere, a come ti valuti, a come hai definito la tua identità".
        Appare colpito dalla mia risposta. Mi scruta a fondo per un attimo e poi mi chiede: "ma a te capita spesso che valori cosi alti siano in gioco?".
        "No" - rispondo - "naturalmente no. Ma a volte si creano situazioni eccezionali, con persone eccezionali. Cerchi di fare di tutto per salvarle, fai violenza a te stesso, per salvarle, e alla fine ti accorgi che non ti è servito a nulla, che nulla è sufficiente, che ormai sei diventato un soggetto residuale e tale rimarrai, a vita".
       "E allora?" - chiede lui, ancora più incuriosito.
       "Allora, perso per perso, cerchi di distruggere tutto, compresa la memoria di te. Hai provato a trattare, hai cercato dei compromessi, delle mediazioni. Ma nessuna va bene. Ti resta solo la scelta tra subire un ricatto, rassegnarti alla resa o accettare una soluzione che di fatto è un "patto leonino" che ti viene imposto".
        "Suppongo che niente di tutto questo ti vada bene" - sorride ironico lui - "ti conosco...".
       "E' così, sono soluzioni che non fanno per me. Posto con le spalle al muro o costretto ad accettare soluzioni preconfezionate, io rompo, devasto, faccio sfracelli, mi taglio tutti i ponti. Se devo essere niente, o poco più o poco meno di niente, io cerco solo l'annientamento e l'autoannientamento".
       "Ti fa sentire meglio?" - mi chiede lui, con un sorrisetto ironico.
       "No, mi fa sentire mille volte peggio, ma è l'unica soluzione che mi è stata lasciata: piegarmi a una volontà altrui o suicidarmi. Io - come sai - mi spezzo, ma non mi piego. Lo so che tutti dicono che è retorica, ma, nel mio caso, è retorica vissuta. Che cosa ho fatto, di preciso, se non esattamente questo: mi sono spezzato per non piegarmi. Non ti è chiaro?".
        Lunghi attimi di silenzio. Mi guarda, anzi mi scruta con i suoi occhi profondi e intelligenti. E' una delle prime volte che parliamo non di lavoro. Poi mi spiazza completamente, con parole che da lui davvero non mi attendevo: "Posso dirti che ti ammiro. Sento che stai molto male, nel profondo, ma vedo che hai fatto una scelta difficilissima, per coerenza, in pieno contrasto con i tuoi interessi. Sei un uomo vero. Pochissimi si sarebbero comportati come te. Ti ammiro".
         Sono certo che molti lettori penseranno a un esercizio di storytelling, neppure troppo ben riuscito. Posso garantirvi, sul mio onore, che non è così.
         Esco dal suo ufficio emozionato ma rinfrancato. Ho compiuto un suicidio umano, individuale, professionale, relazionale. Ma non mi era stata lasciata altra scelta, se non che la resa. E allora ho scelto. Ne pagherò a lungo le conseguenze, ma niente mi fa paura. Mi si voleva omuncolo, sono stato uomo. Si dirà che sono un mostro, ma l'unica cosa che ho di mostruoso è la coerenza, e ne vado fiero. Urta un po' la mia suscettibilità l'idea di essere stato considerato un omarino, uno di quelli che si eterodirigono senza problemi, ma ovviamente è possibile che io abbia fatto tale impressione, anche se - conoscendo quello che in genere si dice di me - la cosa mi suona un po' strana. Del resto, io volevo banchettare e naturalmente, vedendomi offrire in cambio un posto alla "mensa dei poveri", ho declinato. Ma capisco e accetto tutto, anche il fatto di essere considerato un mostro crudele e abominevole. Mi limito a spiegare come l'ho vista e vissuta io, la cosa. Poi la dannazione eterna è il minimo che si subisce, in casi del genere, ma la si mette in conto, fin dall'inizio, quando si vuole essere se stessi e non un'altra persona. Si sa già che non andrà bene, per niente bene. Inch'Allah.
 
                          Piero Visani

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