sabato 4 maggio 2013

Il primo giorno di quiete

      Giornata di lavoro intenso, a Milano. Forse - dopo tanto tempo - il mio primo giorno di quiete. Mi sono soffermato molto, in queste pagine, su quella che sarà la mia prima notte di quiete. Oggi, senza che lo volessi o lo sapessi o lo cercassi, è stato il mio primo giorno di quiete.
      In giro per il capoluogo lombardo, mi sono guardato (dentro e fuori...), mi sono sentito guardato (solo fuori...), mi sono sentito nuovamente me stesso, dopo tanto tempo.
      Non ho mai avuto bisogno, né ne ho mai, di certezze. Vivo immerso nel dubbio, nella crisi. Lo preferisco. E oggi mi sono sentito me: molta fiducia in me stesso, molto estetismo, molto egosintonismo. Nessun dolore, nessun rancore.
       Era da tempo che provavo dolore e da tantissimo tempo che provavo rancore. Oggi invece nel mio animo c'era la tranquilla coscienza di chi sa di avere fatto il proprio dovere, e non ha rimpianti.
       Certo, molte cose avrebbero potuto essere diverse, ma non dipendevano e non sono dipese da me. Non mi sento nemmeno più buttato via. Prendo atto di tutto. Forse mi sento persino un po' un reduce, ma non animato da reducismo o revanscismo. Ho fatto la mia guerra, ho subito incursioni in profondità, le ho rintuzzate e ora sono nuovamente nei miei confini. Ho fatto capire che nemo me impune lacessit. Che altro dovrei dimostrare? Ho vissuto la mia fase conflittuale con dignità e onore. Ora è tempo del "riposo del guerriero".
       Per la prima volta, dopo molti mesi, mi sono guardato intorno, ho guardato belle donne, mi sono sentito osservato da alcune di loro. Tutto nella norma.
        Sto valutando i miei percorsi, cosa fare e come. Sono finalmente oltre. La mia mente ha ripreso a funzionare a mille, le emozioni a pulsare. Nei miei occhi di visionario transitano mille immagini, è il nuovo che avanza.
       La cosa che mi sorprende di più, in positivo, è che il mio animo è vasto, aperto, attento nuovamente al nuovo, immerso in clavicordi umori. Ciò che è stato, è stato e, se è andato così, probabilmente è perché così doveva andare. Lo accetto virilmente. Del resto, io sono un classico soggetto da "prendere o lasciare" e so fin troppo bene quali esiti mediamente mi attendono. Ma questo è normale: il mio superomismo non piace, tanto meno il mio cercare l' "oltre uomo". Desto curiosità, poi stanco facilmente. Ne sono consapevole e, come ogni volta in cui mi si chiede - esplicitamente o implicitamente - di essere diverso, procedo per la mia strada. Per coerenza, certo non per desiderio di essere uguale a me stesso, visto che la mia ricerca di cambiamento e riposizionamento è continua.
       Nessuno mi rimpiangerà, e va bene così. Ma non rinuncio a me stesso e mi pongo sempre nuovi traguardi, alzo sempre più l'asticella, cerco di non ripercorrere strade già battute.
        La grande novità è che non nutro più ostilità per essere stato buttato via, vilipeso, omologato, osteggiato, dannato. Tutto giusto. La mia psicologa mi ha detto di stare in stretto rapporto con le mie emozioni e le mie emozioni, da qualche giorno a questa parte, sono quelle di chi è finalmente certo di avere inferto tanto dolore e tanto danno quanto ne ha ricevuto. Dunque si sente pacificato, con se stesso e con gli altri. Non sente più bisogno di guerre.
          Missione compiuta, in una guerra che non ho scatenato io. Uncommon valor da me esibito, come sempre. Secondo la nota distinzione schmittiana, ora con gli hostes la pace sarebbe possibile, ma con gli inimici? Ho deciso di non pormi nemmeno più il problema. Considero l'onta lavata e l'onore recuperato. Il resto mi interessa molto relativamente. Io volevo solo pareggiare i conti e ora sento di esservi riuscito. Tutto quanto verrà dopo, fosse anche niente, per me andrà bene. Mi dispiace di aver dovuto spiegare, con i fatti, che non amo per niente che si scherzi con me, che ci si prenda gioco di me.
           Mi premeva essenzialmente di essere certo di avere colpito duro tanto quanto sono stato colpito io, e ora lo sono. Per la mia concezione etica, ora posso dirmi davvero oltre. Sono consapevole che scrivere queste cose non gioverà alla mia immagine, ma io sono un essere asociale, non un essere sociale, e dunque posso permettermi di essere sincero. Amo la verità e racconto le cose per come le vedo e le sento. Mi rendo conto che possa essere disturbante, ma posso garantire che anche essere trattato come una pezza da piedi lo è. E ancora più disturbante è, per me, essere omologato agli altri. Posso essere peggio, posso essere meglio, ma mai uguale.
            Tutta questa vicenda è una conferma che preferisco uscire da qualsiasi cosa considerato come un mostro piuttosto che considerato come uno uguale agli altri. Non credevo fosse così difficile capirlo e così ho dovuto schiacciare un po' sull'acceleratore perché si capisse. Ambisco al superomismo, non amo neanche un po' quella che gli uomini piccoli chiamano "umanità", che - a mio sommesso avviso - è quanto di più in-umano possa esistere. Se questo dà fastidio, "accetto il crucifige, e così sia".
 
                                  Piero Visani
 
                                                   

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