L'ultimo, fatale atto della battaglia di Gettysburg si consumò esattamente 150 anni fa, il 3 luglio 1863, quando la Divisione Pickett - l'unità più fresca e integra di cui disponeva il comandante confederato, generale Robert Edward Lee - venne lanciata all'attacco dell'esercito unionista, nella speranza di realizzare uno sfondamento che avrebbe consentito ai sudisti di vincere la battaglia e, forse, la guerra.
Intorno alle ore 15.10 di quel pomeriggio, la Divisione Pickett, rinforzata da altre brigate, si lanciò all'assalto delle linee unioniste, sulla Cemetery Ridge. La scena dell'attacco, innegabilmente grandiosa, visto che le truppe assalitrici si aggiravano sugli 11-12.000 uomini, è stata riprodotta con grande cura storica nel film Gettysburg e mi è gradito ricordarla qui:
Ho partecipato a un numero notevole di cariche identiche a questa, nel corso della mia vita, e sono tutte finite allo stesso modo, ma le amo ugualmente, perché il "dover essere" è sempre più importante dell'essere e ovviamente si situa mille miglia al di sopra dell'avere. Sono finito male, ma ci credevo, ci credo e ci crederò. Ogni volta che entro nel mio ufficio, vedo spiegata e superba la nobilissima bandiera della Confederazione, la Stars and Bars, una delle più belle bandiere - sotto il profilo estetico e cromatico - della storia e penso che, se l'hanno onorata coloro che la portarono su tutti i campi di battaglia della Guerra Civile, perché non potrei riuscirci anch'io, tanto più che a me non viene mai chiesto di rischiare la vita, ma solo di salvaguardare il mio onore?
Così, cerco di essere sommessamente fedele a me stesso e alle poche cose in cui credo, in cui credo fermamente. Tutti mi danno del patetico, molti mi fanno a pezzi, ma io ancora non mi sono stancato di essere un uomo verticale. Non sarò ricordato per i miei successi, perché non ne ho molti da vantare. Sarò ricordato - da qualche giovane che avrà imparato ad amare il mio senso della vita - perché avevo un onore e ho insegnato anche a lui ad averlo. Sarà la più bella soddisfazione della mia vita di maestro e di "guerriero esistenziale".
Piero Visani
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