Trent'anni fa, in una calda mattina di inizio estate, nasceva Umberto, il mio primo e unico figlio. Ricordo bene la prima volta che lo vidi, nella nursery di una nota clinica torinese. Erano nati 6-7 bambini in quei giorni e Umberto era l'unico maschio. Mia madre - sempre molto singolare nelle sue scelte cromatiche, e non solo... - gli aveva procurato, fra gli altri, un completino rosa (sic) e qualcuno, forse nella fretta, gli aveva messo proprio quello, per cui sembrava che nella nursery ci fossero solo bambine... Ma io avevo visto il suo profilo scansionato dall'ecografia e dunque lo avevo bene in mente, per cui lo riconobbi subito. Del resto, quelo profilo dai lineamenti delicati è lo stesso che ha ancora oggi.
Ero contento di essere diventato padre, anche se forse un po' schiacciato dalla responsabilità, visto che avevo poco meno di 33 anni. Si apriva davanti a me un mondo ignoto e io già allora ero terribilmente a disagio nel mondo noto, per cui nutrivo molti timori.
Ricordo mia moglie travolta dalla felicità, anche se la mattina del parto, che fu un parto cesareo, era ancora sotto l'effetto dell'anestesia e dei postumi dell'operazione (ma poche ore dopo, dando prova delle sue straordinarie capacità di ripresa, stava già benissimo) e ricordo il gran caldo che faceva in quei giorni.
Non sapevo la vita cui sarei andato incontro. So che, da quel giorno, come tutti i padri cominciai a battermi perché quella di Umberto fosse migliore della mia.
Non so se io sia stato un buon padre. Posso dire che ho provato ad esserlo.
Posso dire altresì che ero devastato già allora dal malessere di vivere, ma i miei 33 anni non ancora compiuti mi davano un senso di speranza che ora ho completamente perduto.
Credo che Umberto abbia cominciato a nutrire la sua passione per gli alieni in quegli 11 mesi successivi in cui, di notte, non dormiva praticamente mai e io gli davo il biberon, lo cullavo, lo stringevo al mio petto, cercavo di farlo dormire. Credo che, poggiato con la sua testolina sul mio cuore, abbia percepito nitidamente che nel mio animo batteva un cuore alieno e si sia innamorato di quegli esseri strani - venuti da altri mondi esattamente come suo padre - il cui unico, costante interrogativo, era (ed è): "che ci sto a fare qui...?".
Si, Umberto ha percepito per via empatica che era figlio di una specie di E.T. e anche lui, da allora, sta cercando di phone home, phone home.
Ma, caro Umberto, la nostra casa dov'è? Meritavamo di venire su questo pianeta di merda, con i suoi abitanti di merda? Con le loro abitudini schifose, le loro falsità, le loro meschinità, le loro verminosità? Io credo di no. E tu?
Comunque farò di tutto per salvarti, per salvare almeno te. Ho provato a darti un'occasione. Non farmene una colpa. Io so che cosa penso davvero di chi mi ha generato, di chi mi ha portato qui. Se puoi, non condividerlo. Ne sarei lieto.
Piero Visani
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