La mia dannazione, la mia condanna, è che sono sempre stato un poeta. La poesia mi ha fatto vivere, la poesia mi ha ucciso.
Ho portato la mia poesia nel mondo, ma nessuno desiderava ascoltarla e così la poesia stessa ha finito per massacrarmi. Ora non so nemmeno dove fuggire e inoltre non amo fuggire. Mi riesce difficilmente sopportabile l'idea di non poter diffondere i miei carmi, ma a chi possono interessare? A chi possono interessare le poesie? A chi possono interessare i poeti? Con chi posso parlare? Non ho a disposizione giochini di vario genere con cui distrarmi o indurmi a non pensare.
Ho sempre avuto in mente la frase Carmina non dant panem e invero ho costruito la mia vita per sottrarmi almeno in parte a tale pericolo, anche perché io non sono e non intendo essere un poeta in senso stretto, semmai un profondo amante della poesia che c'è nelle cose. In realtà, però, ho scoperto a mie spese che i carmina non danno molte altre cose, oltre il panem, e ora sono qua a interrogarmi su milioni di questioni, a cominciare dal perché i miei quesiti cadano sempre nel vuoto e rimangano tragicamente privi di risposte.
Ho l'animo trafitto da mille lame, ma vado avanti. Mi imputano tutti i mali del mondo, ma questo è solo dovuto al fatto che - come il bambino della favola - continuo a ripetere, ogni volta che mi capita di incontrarlo, che "il re è nudo". E non smetterò. Sono poeta, sì, ma anche tenace, coraggioso e cocciuto. Se qualcuno si aspetta da me rese e attestazioni di banalità, dovrà attendere fino alla mia morte. E penso che scriverò sempre di più.
Piero Visani
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