martedì 11 giugno 2013

Nel buio della notte

      Per quanto mi riguarda, uno spostamento notturno della lunghezza di 100-130 km, in autostrada, è sempre una benedizione dal cielo. Il traffico, specie dopo certe ore, si attenua, il buio avvolge l'auto e ci si può immergere nel silenzio, facendo tacere anche la musica. Se poi l'autostrada è diritta, allora tutto diventa come un lungo, interminabile tunnel nero, dove l'attenzione da rivolgere alla guida è modesta e dove si può pensare, lasciando la mente correre.
       In questa notte di inizio giugno, avrei tante cose di cui parlarmi e cerco di affrontarle tutte. Sono reduce da un'esperienza di vita che reputo molto negativa, ma di cui non riesco ad ascrivermi colpe. L'ho vissuta fino in fondo, come sono solito fare, e, anche se adesso sono oggetto di un'ostilità profonda, non saprei proprio quali responsabilità attribuirmi. Ho visto morire una bellissima relazione di amicizia e, nel vederla morire, ho sofferto talmente tanto da volerne accelerare la fine, per ridurre il mio dolore. Pensavo veramente che potesse trattarsi di un rapporto destinato a durare, a maturare, ad evolvere. Ancora oggi non so darmi pace per come sia clamorosamente abortito, né so darmi risposte. Ne ho preso atto. Trovo altamente singolare che le responsabilità del tutto vengano fatte ricadere su di me, ma lo accetto.
       Il silenzio che mi avvolge è rotto solo dal rumore del motore, ma non vado particolarmente veloce e la mia auto, intorno ai 4.000 giri, è particolarmente silenziosa. Non ho fretta di rientrare. Preferisco pensare.
       La mia vita sta riprendendo, faticosamente, dopo tante tristezze. Ho deciso che è giusto riprendere ad andare avanti con rinnovata lena, perché non avrebbe senso che mi fermassi. Di cosa dovrei rimproverarmi? Ho fatto quello che ritenevo giusto e, se non è stato capito ed è risultato particolarmente sgradevole, me ne dolgo, ma anch'io ritengo di non aver subito un trattamento bellissimo.
        Sento che è stato buttato via un pezzo di vita, della mia vita, e una persona intera (non un pezzo...): io. Non faccio salti di gioia, anzi ho faticato a prenderne atto, ma sto ricominciando a guardare avanti. Non avrei voluto finire così, ma ci sono finito e, poiché la decisione non è stata presa da me, è giusto che la accetti di buon grado.
          Il caso ha voluto che, dopo mesi di rabbia e di tristezza, ora abbia incontrato una persona che non mi aspettavo di poter incontrare. Non so come fare. E' vero che in una serata ho fatto più strada, con questa persona, che in 19 mesi con un'altra, ma mi sto chiedendo se ho voglia davvero di andare incontro a nuove delusioni, a nuove incomprensioni, a nuove sofferenze.
           Mi chiedo in particolare, in questo silenzio spettrale, in questa oscurità totale, non rotta da alcuna luce, se per caso il mio modo di essere non sia revulsivo, tale da mettere le persone in fuga.
           Me lo chiedo, ci rifletto su per chilometri e chilometri, e poi mi dico: e se anche fosse? Non mi sento un mostro, né un assassino, né altro. Mi sento me stesso e ho una fede infinita in me, nella mia intelligenza, nel mio modo di essere. Capisco bene che possa non piacere, che possa suscitare - come ha appena suscitato - rifiuto, repulsione, ostilità, rabbia, ma io ritengo di avere sempre agito per il meglio, rispettando le scelte altrui e adeguandomi ad esse.
           Dovrei cambiare? Se lo facessi, sarebbe una grave forma di autoaccusa, un'ammissione di colpevolezza, mentre io mi sento totalmente innocente. Mi sono proposto, nella maniera che mi è propria. Sono stato rifiutato - soluzione cui noi uomini non siamo certo disavvezzi - e dunque ho fatto i bagagli e mi sono ritirato in buon ordine, fino a sparire.
            Ma la vita continua, e anche la mia vita continua. Certo, vengo da un rifiuto, ma che cosa dovrei fare, strapparmi i capelli (ne ho talmente tanti che sarebbe un esercizio lungo e difficile)?
            Ormai ho deciso: il fatto che non andassi bene e risultassi (e risulti) molto sgradito a una persona non significa che io debba necessariamente risultare sgradito in assoluto. Ho perso un'opportunità e una battaglia; non ho perso tutte le opportunità e le guerre. Anzi, un'opportunità l'ho appena colta e ritengo di dover avere piena fiducia in me stesso. In effetti ce l'ho: sono un uomo molto singolare, dalla personalità singolare, difficile da comprendere. Capisco bene che tutte queste peculiarità possano suscitare repulsione, fuga, disistima, avversione. Ma ovviamente non tutte le persone vedono e valutano allo stesso modo, e io qualche estimatrice continuo ad averla. Non mi resta che concentrarmi su queste ultime, sperando di trovare qualcuna che mi voglia bene. Non mi riesce poi così difficile: la storia della mia vita me lo insegna. A voler essere particolarmente autocritico, potrei dire che, in definitiva, sono un mostro di un certo fascino...
 
                              Piero Visani

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