martedì 18 giugno 2013

Lavorare... salva

      Professionalmente parlando, nella mia vita sono stato decisamente più stimato che a livello personale. Ho un discreto CV, che mi consente di presentarmi come un professionista di buon livello, dotato di una serie di competenze specifiche. Sono perfino riuscito, visto che uno porta se stesso anche nel lavoro, a costruirmi una carriera totalmente al di fuori dagli schemi, seguendo percorsi assolutamente personali, come piace a me, che sono un feroce individualista.
        A livello personale mi è andata forse un po' meno bene, perché, anche se ho decisamente una bella famiglia, non sono sicuro di godere della medesima credibilità, né all'interno né all'esterno della medesima. E come uomo, poi, meglio lasciar perdere...
        Così, nel classico gioco delle compensazioni che occorre mettere in atto per cercare di sopravvivere, non tanto in assoluto, cosa che non mi interessa punto, quanto a se stessi, cerco sempre di ripianare, sul versante professionale, le enormi delusioni che raccolgo a livello personale. E questa camera di compensazione, in una certa misura, funziona, perché a livello lavorativo sono decisamente più bravo che a livello personale. Nel mondo del lavoro, infatti, occorre cercare di occultare da qualche parte una parte di sé e anche se io, per attitudine mentale, di me tendo a occultare poco o nulla, quel poco che occulto è forse sufficiente a non farmi incappare, a livello professionale, nelle grandi delusioni in cui sono solito incorrere a livello personale.
         Il giochetto, per quanto abborracciato e posticcio, funziona e in fondo è un po' sempre il lavoro a salvarmi, dal momento che, passando le mie giornate a lavorare, e a lavorare parecchio, non mi resta tempo per fare molto altro, a parte scrivere. Se volete, è una tristezza assoluta, ma è così. Del resto, se uno non riesce a capirsi bene con il suo prossimo, non può fare altro che lavorare o scrivere. Sono - è vero - due forme di alienazione, ma molto più tollerabili che rapportarsi con un prossimo che, nel mio caso, mi vuole solo uccidere. Sono due semplici forme di sopravvivenza.
       Dunque, anche se Cesare Pavese, come poeta, mi è molto caro, non dirò mai, come lui, che "lavorare stanca".  No, caro Cesare, mi permetto di dissentire: "lavorare salva" e, forse, tiene persino lontani dal suicidio. A me, almeno per ora, mi ci ha tenuto.
 
                                            Piero Visani

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