Ciascuno di noi, nel corso del proprio percorso esistenziale, si trova di fronte a diversi momenti di svolta, che affronta sulla base della propria visione del mondo.
Io mi considero una persona molto franca, diretta, che ama dire le cose per quello che sono. Mi è capitato parecchie volte, nel corso della vita, di suscitare reazioni negative, per i miei atteggiamenti, ma ho sempre cercato di spiegarli.
Tutte le volte che ho dovuto uscire di scena - e sono state tante - ho sempre cercato di farlo a modo mio. Ho sempre basato tutto sulla fiducia, la chiarezza, la franchezza. Quando le ho sentite venire meno, ho preferito uscire di scena, magari facendo un po' di rumore, ma senza creare ulteriori problemi.
Non si può essere graditi a tutti e, se graditi non lo si è (o non lo si è più), l'uscita di scena è la cosa migliore. Infatti, è molto meno dolorosa che protrarre a lungo situazioni già stiracchiate, che si risolveranno alla stessa identica maniera, ma con molto più tempo e molte più sofferenze.
Siccome non è da me recitare un ruolo da comprimario, negli ultimi dodici mesi ho dovuto compiere scelte dolorose e sempre nette, che raramente sono state comprese, ma che per me erano obbligate, in quanto prive di alternative.
Le ultime due sono state da me compiute pochi giorni fa e sono state scelte professionali entrambe difficili, di cui una temo non sia stata compresa, mentre l'altra è stata compresa a fatica.
Mio malgrado, ho dovuto confermare quella vocazione polemica e polemogena che mi viene attribuita, ma che in realtà non esiste, non esiste affatto. Nei due casi testé citati, ho semplicemente dovuto risolvere due situazioni, di cui una stagnante e incancrenita, l'altra professionalmente insoddisfacente.
Come sempre - questo sì - l'iniziativa ho dovuto prenderla io, ma questo pare essere realmente il mio destino: molti mi portano sull'orlo del precipizio, della rottura, ma poi non rompono. Forse sperano in tal modo di controllarmi meglio. Ma a quel punto rompo io, perché non voglio fare la marionetta nelle mani di alcuno.
Anche in questo caso, esattamente come in passato, le mie scelte hanno destato reazioni molto ostili, ma - mi chiedo - che cosa avrei dovuto fare? Continuare a rimanere nell'impasse? Continuare a farmi ricattare? Rimanere passivo strumento di volontà altrui?
Sono arrivare altre robuste palate di guano e, se una situazione è stata recuperata, l'altra si è risolta in un ennesimo disastro. Non so che farci: se mi portano sull'orlo di una situazione di rottura, io rompo. lo so bene che, così facendo, divento io il colpevole di tutto, ma - come ho sempre fatto in vita mia in casi del genere - ho applicato il principio elaborato dal grande giurista e politologo tedesco Carl Schmitt: "Sovrano è chi decide sullo stato di eccezione". E io, trovandomi di fronte a un caso di eccezione, ho deciso, ho esercitato la mia sovranità. Ora risuonano nuove invettive contro di me, "reo" di avere deciso, ma che avei dovuto fare? Abbozzare? Sono stato messo in condizione di operare una scelta e l'ho operata. Dove sta il problema?
Piero Visani
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