giovedì 27 giugno 2013

Discorsi da maschi

       Esistono due categorie di discorsi da maschi (e ovviamente mi si perdoni la inevitabile generalizzazione): la prima è quella in cui alcuni (non tutti, solo alcuni) cercano di impressionare gli altri con il lungo elenco delle loro "conquiste". Quasi sempre false, perché i veri "conquistatori" sono le persone più discrete del mondo e sono impegnati a "cogliere l'attimo", non certo a raccontarlo. La seconda è quella degli amici veri, piccole conventicole, nuclei molto ristretti o addirittura due sole persone, che, in qualche bar di questo inizio d'estate non propriamente caldissimo, si raccontano le loro storie: storie di macerie, di disinganni, di massacri, di aspirazioni sempre più marcate alla condizione monacale.
        Una tradizione culturale radicata, e ora alimentata ad arte, vuole che gli uomini siano il sesso forte, incapaci di amare o di ammettere l'amore, anaffettivi, interessati solo al sesso e via vaneggiando. Ma questo non è nulla più che un bieco stereotipo. Tra i miei amici e conoscenti, uomini la cui età varia dai trent'anni o poco più a persone molto più anziane di me, è tutto un continuo rincorrersi di riflessioni dolenti, sulla nostra solitudine, sulla crescente impossibilità di riuscirsi a capire, anche solo vagamente, con l'altro sesso.
        Dalle nostre vite, le donne stanno uscendo e non so neppure quanti di noi rimpiangano tale fuoriuscita. Chi infatti riesce a riconoscersi in soggetti autoreferenziali, sempre meno eterosessuali (per non dire scopertamente omo), di cui nessuno riesce a comprendere nemmeno vagamente che cosa vogliano. E in particolare che cosa vogliano da noi, a parte un suicidio rituale di massa (direi di genere...), da svolgere possibilmente in loro presenza...
         I nostri amici che hanno mantenuto un rapporto costante con l'altro sesso sono o pochi incalliti womanizer o legioni di maschi palesemente asessuati, soggetti che sanno tutto di detersivi e lavatrici, dei quali ti chiedi se, oltre ad essersi castrati fisicamente da chissà quanto tempo, ora stiano procedendo anche all'autocastrazione psicologica e intellettuale.
         Su questo fondo, noi due - io già parecchio avanti con gli anni, lui decisamente più giovane - sembriamo due autentici relitti del passato. Ci raccontiamo i nostri amori, la nostra voglia di passione, comunicazione, dialogo, e ci accorgiamo in fretta di non essere altro che patetici, scorie umane di un'epoca tramontata, ultimi romantici di uno scenario dominato solo da sessuofobia e basse motivazioni di interesse.
         Sorridiamo amari, ci sentiamo dei patetici revenant, ci ripromettiamo di cambiare, ma sappiamo bene entrambi che non lo faremo. Se cambiassimo, la nostra sarebbe una resa a un mondo che non sa più amare, che non sa più nutrire passione, che vive tutto in superficie, in cui le persone non vivono la vita, ma vi si appoggiano sopra, come se la vita stessa fosse uno dei loro tanti hobby.
         C'è empatia, tra noi, e ci raccontiamo le nostre personali disgrazie, più o meno marcate. Il mio amico auspica un nostro rapido rifugio nell'atarassia, mentre io dico che non ci resta che continuare ad essere noi stessi. Lui sorride scettico e mi dice che sono come Nanni Moretti in Bianca: "Continuiamo così, facciamoci del male!". Ridacchio e ribadisco che non intendo demordere, anche perché per me è diventata una scommessa: voglio trovare una donna con cui riuscire a dialogare a 360 gradi, che non mi seppellisca sotto i suoi no, le sue inibizioni, le sue frustrazioni. Che non mi chieda sempre e solo tutto, ma che mi dia anche qualcosa; che si interfacci con me, che non mi consideri solo il minorato membro di una minoranza in via di estinzione.
           "L'ottimismo non ti manca, vedo" - nota lui scettico.
          "Perché dovrebbe venirmi meno? - insisto io - "E' tutta una questione di ricerca interiore ed esteriore. Quando meno me lo aspetto, quella persona la troverò".
 
                           Piero Visani
 
            

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