La mente sgombra vola. Si inerpica qua e là. Ritrova ali che temeva di avere perduto, le vede aprirsi, fendere l'aria. Sente che è nuovamente in grado di librarsi.
Fermento. Passione. Anima nuovamente e giustamente inquieta. Nuove strade da percorrere. Nuovi obiettivi. Nuove speranze.
Gli interrogativi tempestano l'animo, lo squassano: dopo aver conosciuto tanta morte, dove posso trovare nuova vita? La casualità, il fato, mi possono aiutare?
Dopo aver danzato a lungo sui versanti dell'incertezza, dell'incomprensione, del non essere (o dell'essere a metà), dove posso ritrovare la pienezza del Dioniso che vive in me?
Nuove inquietudini mi traversano, nuove curiosità mi animano. Sono rimasto troppo a lungo fermo a cercare vita là dove c'erano soltanto morte, aridità, negazione, rifiuto. Tutte legittime, per carità. Nessuna da condannare a priori. Semmai da capire, da spiegare, da interpretare.
Ma quanto si può rimanere fermi davanti a una porta chiusa? In teoria, una vita, se solo uno nutre la più remota speranza che questa porta si possa dischiudere. Ma se nemmeno i voti, gli impegni, le promesse hanno un valore, se la sensazione è quella di essere sgraditi, sgraditissimi postulanti, allora occorre raccogliere le proprie poche masserizie, rivolgere un saluto accorato e un augurio di buona fortuna, e riprendere la propria marcia.
Non interpreterei questo gesto come dichiararsi vinti o come un atto di desistenza, ma come un gesto di rispetto verso scelte altrui che possono averci provocato dolore, ma sono assolutamente da accettare e stimare.
C'è un impegno di lunga scadenza, a cui un guerriero esistenziale come me terrà ovviamente fede, e poi c'è un futuro da disegnare. C'è la frustrazione da incomunicabilità totale da eliminare; c'è la tristezza da incomprensione assoluta da levare di torno; c'è da sciogliere il dubbio - invero fortissimo - se si è vissuta una realtà o uno stato di allucinazione, tanto le sensazioni passate e quelle attuali sono radicalmente diverse.
Il dubbio è la cosa più difficile da superare: ricordo la nonna paterna di mia moglie, che aveva perduto il figlio primogenito nei Balcani, durante la seconda guerra mondiale, nelle tragiche giornate dell'8 settembre 1943, e ricordo i suoi tormenti per un figlio disperso, mai ufficialmente dichiarato morto, di cui si sapeva soltanto che non era tornato, ma non se fosse morto, e perché, e dove, e come?
Il dubbio è la cosa più difficile da superare anche per me, perché è come se fossi entrato ed uscito da uno "Stargate", senza neppure sapere bene perché io vi sia entrato, in positivo, e vi sia uscito, in negativo.
Ne esco comunque rafforzato. Non lo dico per farmi forza, non ne ho bisogno. Non ho nascosto le mie difficoltà, i miei problemi, ma ho superato tutto facendomi forte della mia enorme capacità di combattimento, della mia estrema tenacia e perseveranza, della mia formidabile autostima.
Come sempre quando si esce da una crisi, la persona che ne viene fuori è in parte uguale e in parte diversa dalla precedente. In che cosa sono diverso? Nel fatto che sono molto più sicuro di me, dei miei mezzi, delle mie potenzialità. Nel fatto che sono più aperto, dialettico, facile all'interrelazione. E questi, volendo, potrebbero essere interpretati come mutamenti in positivo.
Sul versante dei mutamenti in negativo, devo confessare che guardo alle donne con estrema diffidenza. Non lo avevo mai fatto in vita mia, ora mi riesce quasi automatico. Vedo in ciascuna di loro un potenziale nemico, una persona che vuole prendersi gioco di me, una potenziale profittatrice pronta a farmi male. Sono terribilmente sulla difensiva. Non sotto il profilo relazionale, dove risulto molto più aperto di un tempo, ma nel mio intimo, dove mi preoccupa l'idea di essere nuovamente trattato come un giocattolino, come un trastullo per soggetti con qualche componente sadica.
Me ne dolgo perché, per tutta la vita, ho sempre trattato le donne con estrema cortesia, cura, attenzione, affetto, vicinanza. Senza ritrarne grandi vantaggi, ma senza deflettere mai da quel mio modo un po' demodé di accostarle.
Ora come ora, temo che per un bel po' non riuscirò più a comportarmi così. Mi sono bruciato e ferito, e vorrei evitare ulteriori scottature. Per naturale reazione - che è forse comprensibile, a livello psicologico, ma si abbatte su persone innocenti - ora tendo a ridurre i rapporti con l'altro sesso all'essenziale, nel senso che mi accorgo di essere diventato brutale, diretto, ai limiti del womanizer. Non sono io, nel comportarmi così, ma mi rendo perfettamente conto di stare comportandomi così. Me ne dolgo, ma saltare direttamente dalla conoscenza meramente relazionale al tentativo - ovviamente se mi interessa - di conoscenza carnale mi dà la sensazione di potermi mettere al riparo dalla spiacevole esperienza che ho vissuto, mi affranca da compiti che ho sempre amato moltissimo, come il corteggiamento o la seduzione cerebrale o affettiva. Non vorrei vivere altri disastri. Non vorrei vedermi nuovamente scaraventato nel cassonetto dei rifiuti dopo aver impegnato tutto me stesso in uno sforzo per di più di comprensione e di dialogo, non certo di conquista.
Mi scuso preventivamente per questo. Non ho mai odiato le donne. Le ho sempre molto amate. In certi casi le ho persino considerate depositarie di saggezze primigenie che a noi uomini talora paiono precluse. Non so se, nel breve periodo, le donne che la casualità mi porterà ad incontrare avranno la possibilità di incontrare la persona che fui. Probabilmente incontreranno uno pseudoseduttore narciso e vanesio, anaffettivo ed egocentrico. E probabilmente non lo apprezzeranno granché. Mi scuso preventivamente con loro. Cercherò di cambiare. Ma "la vita mi sfugge tra le dita" e non vorrei perdere altri anni a spiegarmi a chi non mi vuol sentire. Dovrò essere necessariamente più sintetico e "stringente". Ne avrò i miei buoni motivi. Sarò più dionisiaco che apollineo. Non lo farò apposta, ma solo in conseguenza di ciò che ho vissuto. Non chiedo comprensione, chiedo semmai rispetto: se dovrete buttarmi via, buttatemi via subito. Ci sarà meno dolore per tutti. Grazie.
Piero Visani
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