domenica 2 giugno 2013

American Psycho

       Una mia amica mi scrive oggi chiedendomi se mi riconosco in Patrick Bateman, il protagonista di American Psycho, il noto e controverso romanzo di Bret Easton Ellis. Il passo in cui lei mi identifica è il seguente:
 
"There is an idea of a Patrick Bateman [che lei modifica in Piero Visani], some kind of abstraction, but there is no real me, only an entity, something illusory, and though I can hide my cold gaze and you can shake my hand and feel my flesh gripping yours and maybe you can ever sense our lifestyles are probably comparable: I simply am not there. [...] I am a noncontingent human being. [...] But even after admitting this - and I have, countless times, in just about very act I've committed - and coming face-to-face with these truths, there is no catharsis. I gain no deeper knowledge about myself, no new understanding can be extracted from my telling. [...] Is evil something you are? Or is it something you do? (B. EASTON ELLIS, American Psycho, Picador, London, 1991, p. 376 sg.).

          Ringrazio la mia amica per la citazione - brillante - e anche per l'identificazione, ma mi affretto a precisarle che non mi ci riconosco, non del tutto almeno. In effetti, spesso "I simply am not there".  In realtà, peraltro, non ci sono quando non voglio esserci e ci sarei quando voglio esserci, ma il mio problema enorme è che, quando ci sono io, non ci sono gli altri, e viceversa.
          Però accetto la sua valutazione, perché è comunque stimolante e feconda di dibattito.
          Non a caso, mi sto mettendo molto in discussione, in questi giorni. Ho ritrovato quasi di colpo la lucidità che mi mancava. Non riesco nemmeno più a provare rancore nei confronti di chi si è preso gioco di me, perché ho capito che - per ragioni anagrafiche e di esperienza di vita - avrei dovuto io leggere le situazione e capire per tempo che non ero di fronte a una situazione reale, ma a una colossale presa in giro.
           Me ne sono reso conto quasi di colpo e ho incominciato a sorridere di me stesso, di quanto sono stato stupido, dell'enorme importanza che ho conferito a una cosa che non ne aveva alcuna, per la mia interlocutrice. A me pareva di avere incontrato una persona molto interessante e mi sono sbagliato così clamorosamente che ora, a pensarci, mi viene da ridere. Non che non fosse interessante - tengo a precisare - perché lo era e lo è, salvo che io non avevo capito che si stava prendendo gioco di me e che, quando mi ha visto troppo preso dal suo gioco, ha avuto paura e ha preferito liquidarmi.
           Tutti gli sforzi da me compiuti erano gli sforzi di un povero soggetto afflitto da demenza senile, che nemmeno si era accorto di essere vittima di un giochetto borghese. Che era talmente convinto che fosse tutto vero che, quando ha scoperto che era clamorosamente falso, per mesi non è riuscito a superare la rabbia che la cosa gli aveva provocato ed è arrivato persino a ritorcela contro chi l'aveva trasformato nel suo zimbello, senza nemmeno avere l'autoironia di riconoscerle che era stata molto brava - una vera attrice - a prenderlo in giro. Quello sarebbe stato il primo e unico gesto da compiere, oltre ovviamente - per quanto mi riguarda - a uscire di scena, cosa che peraltro ho fatto.
           Così, placato come sono adesso, il rilievo della mia amica mi pare arguto, ma non corretto. In realtà, quando una cosa o una persona mi interessano, io ci sono sempre e ci sono stato. Non ritengo di essere cattivo e neppure di aver fatto qualcosa di male. Qualche volta posso avere esagerato nei toni, ma solo per pura rabbia, una rabbia che avrei dovuto rivolgere solo verso me stesso, la mia creduloneria, la mia stupidità.
      Se ci fosse stato qualcosa di vero, una convergenza di comprensione sarebbe stata sempre possibile. Se non è stata possibile, è che io ho aperto gli occhi, sia pure molto, troppo tardivamente, e, a quel punto, sono diventato un personaggio scomodo, scomodissimo, da evitare a tutti i costi. Non ci si può spiegare con chi si è preso in giro, si può solo chiedergli - come è stato fatto con me - un atto di fede: "vorrei solo che tu credessi che non ti ho preso in giro". Sarei stato lietissimo di potervi credere, ma a seguito di una spiegazione, non di una richiesta di tipo fideistico.
       Mi sono reso conto di questo quasi di colpo, tutto in un colpo, e - come sempre mi succede - non ho potuto che tributare sincera ammirazione a chi mi ha fatto così totalmente fesso. Complimenti!
       Quanto a me, come persona inguaribilmente sincera mi sento oggi un po' patetico, ma insomma, non si può avere tutto. Buona fortuna e auguri di ogni tipo alle professioniste dell'inganno. Io purtroppo sono un dilettante, e pure sincero. Ma credo di essere uscito di scena abbastanza bene, dopo tutto, cioè senza provare vergogna...
 
                               Piero Visani

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